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Le recensioni di Bruno Elpis

Gita al faro di Virginia Woolf (qlibri)

coverAndare o non andare al faro? Questo è il dilemma!

Virginia Woolf narra l’ineffabile in tre atti. Getta chi legge nel cono d’ombra che si stampa tra perplessità e inquietudine.
Per conoscere la mia opinione potrete passare direttamente alla conclusione del commento, decisamente troppo lungo.

PARTE PRIMA – LA FINESTRA

L’obiettivo (il Faro con la maiuscola) svetta da lontano. A volte non si vede neppure (dalla terza parte: “Il faro era diventato quasi invisibile, si era dissolto in un vapore azzurro”).
“… Se fossero andati finalmente al Faro, avrebbe dato quei calzerotti al guardafaro pel suo figliolo (un piccino minacciato di tubercolosi all’anca)”.
Nella “lighthouse” vivono presunti abitanti, “i quali dovevano annoiarsi a morte senza avere da far altro in tutto il giorno che ripulire il fanale, pareggiarne il lucignolo e girellare in un ritaglio di giardinetto”.
Sul faro aleggia il senso dell’insoddisfazione: “A chi piacerebbe esser confinati per un mese intero, e forse più in tempo di burrasche, sopra una roccia grande quanto un campo da tennis.”

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Isola di Skye, Ebridi. Molti sembrano essere i riferimenti autobiografici. Alla madre, al padre. Ai fratelli. Alla villa di campagna. 

Nella casa di vacanza ci sono, oltre ai genitori, “gli otto tra figli e figlie del signore e della signora Ramsay”, altri invitati e conoscenti.
La narrazione è policentrica, tempificata e atemporale, sempre condotta da ogni personaggio secondo il flusso libero di pensieri e sensazioni. Attraverso le parole.
Centrale la figura della matriarca che incarna opulenza femminile, bellezza, fecondità: “… dinnanzi a lei era il vasto vassoio d’acqua turchina; e il Faro canuto in distanza, austero, fasciato di caligine; e a destra, sin dove l’occhio poteva arrivare … le verdi sabbiose dune …
La visione del rapporto tra i due sessi è a tratti primitiva: “… Giacomo sentiva la forza di lei divampare per essere assorbita, spenta dal bronzeo spuntone, dall’ardita scimitarra del maschio, la quale iterava colpi spietati invocando pietà”. La signora Ramsay tenta una ricomposizione del conflitto tra i sessi, quasi a tavolino: “Guglielmo deve sposare Lily. Hanno tanto in comune. Anche a Lily piacciono i fiori. Sono tutti e due freddi, riservati, austeri”.

Per Virginia Woolf il dilemma non è più il classico “essere o non essere” (“Si domandò se il mondo sarebbe oggi molto diverso nel caso che Shakespeare non fosse mai esistito”). Subisce una mutazione genetica e si trasforma in “andare o non andare al faro”. Come dire: dall’essere e relativa negazione, al divenire con il suo contrario. In una specie di ossessione che ricorre fin dalla celebre frase d’esordio: “Sì, di certo, se domani farà bel tempo - disse la signora Ramsay. Ma bisognerà che ti levi al canto del gallo, soggiunse.”
faroPoi si alternano speranze e dinieghi: “Domani non andremo al Faro; e sentì pure ch’egli avrebbe serbato per tutta la vita il ricordo di quel rammarico.”
E un proposito: “Domattina no, rispose la madre, e promise: Però ci andremo presto, il primo giorno di bel tempo”.
Nella prima parte (La finestra) i personaggi gorgogliano, traboccano in senso cerebrale e rigurgitano la loro dimensione mentale e psicologica.
Oltre alla madre, il di lei marito: “Chiedeva così apertamente di essere adulato, ammirato: i suoi piccoli trucchi non ingannavan nessuno”.
E Lily, la pittrice: “Il fulgore di Minta la faceva parere più sbiadita, più insignificante che mai, nel suo vestitino grigio, col suo visetto vizzo e i suoi occhietti cinesi”. L’antitesi della doviziosa primadonna, la signora Ramsay.

Il senso pervasivo del tempo è quello che ispira filosofia (Bergson) e letteratura (Proust, Joyce) coeve. Si traduce necessariamente nel tormento espositivo: “Ramsay si dirigeva verso di loro. Ed ecco si fermava bruscamente per contemplare in silenzio le onde. Ed ecco tornava addietro, se ne andava un’altra volta.
E nella spontaneità costruita delle immagini: “… tutto ciò che costoro dicevano le appariva come il movimento d’una trota vista in modo da scorgere al momento stesso l’onda e la ghiaia dal fondo, qualcosa a destra, qualcosa a sinistra; cioè come parte d’un tutto …” Questa metafora non ricorda la sublime poesia di Montale?

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PARTE SECONDA – PASSA IL TEMPO

Il tempo è ancora protagonista, una dimensione sempre esplorata nello stile unico di Virginia Woolf. Sotto l’oppressione delle minacce storiche. E con l’alea della catastrofe. “E così era morta la signora, e il signorino Andrea era caduto in guerra, e anche la signorina Prue era morta, dicevano, al primo bambino; d’altronde tutti avevano perso qualcuno in quegli anni”.
La parte seconda è breve, pennellata in modo immaginifico e scenografico, a fotografare il senso dell’abbandono: “La casa fu abbandonata; diserta. Fu abbandonata come s’abbandona una conchiglia sulle dune a colmarsi di sterile sale in luogo della vita perduta”.

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PARTE TERZA – IL FARO

Bellissimo, crudelissimo, brevissimo il paragrafo 6. Una parentesi, nel vero senso della parola, che imprime in modo indelebile un momento della traversata “To the lighthouse”:
“(Il figlio Macalister prese un pesce, gli tagliò un quadratino di polpa dal fianco, per farne esca al suo amo. Poi buttò il corpo mutilato, ancor vivo nel mare).”
Finalmente è giunto il momento della gita al faro. La compiono il signor Ramsay e i due figli Giacomo e Camelia.
“Era così dunque il Faro … ciò che egli aveva per anni contemplato dalla baia era una torre nuda sopra una squallida roccia”.
Nulla è più come prima. Nulla. Anche se la pittrice continua a osservare da lontano. Quasi rappresentasse la coscienza oggettiva, l’unità interpretativa della narrazione, il potere estrinseco dell’arte.
E, se la gita al faro si realizza, la sospensione non ha un epilogo. Non lo può avere. Anche se “il quadro era finito, compiuto. Sì, pensò … posando il pennello, e ho avuto anch’io una visione”.

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Mi scuso per la lunghezza del commento, ma non sono riuscito a parlare di un’opera come questa in modo più sintetico. Ho scelto volutamente di assumere, in abbondanza, citazioni testuali. Per significare concretamente la difficoltà del testo. La complessità della narrazione. Lo spessore di una storia apparentemente inconsistente, inclassificabile e incomprimibile, che scivola via dalle mani proprio come potrebbe fare il pesce del paragrafo 6.
Virginia Woolf sbalordisce. Incatena. Ti fa fuggire lontano da lei. Scompiglia. La respingi. O ti entra dentro. E, in modo presuntuoso, intuisci quali possano essere alcune ragioni del suo suicidio.

Bruno Elpis

http://www.qlibri.it/recensioni/classici-narrativa-straniera/discussions/review/id:32886/