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Le interviste di Bruno Elpis

Cinque domande a Lorenzo Marone

D - Lorenzo, facciamo due conti insieme: sei nato nel 1974, Un ragazzo normale è ambientato nel 1985 e ha per protagonista il dodicenne Mimì… Quanto assomiglia Mimì all’adolescente Lorenzo?
R – Abbastanza, io non ero così nerd però ????. Ma i libri che ama Mimì sono i miei, i fumetti e i supereroi pure, quel modo di vivere l’adolescenza, sotto casa a giocare con il pallone, è il mio modo, il nostro, di noi ragazzi di quegli anni. 

D - “Ho capito che le cose straordinarie , quelle che resteranno per sempre nella tua vita, arrivano spesso in punta di piedi e all’improvviso, senza tuoni e particolari avvisaglie”. I tuoi romanzi sono costellati da queste riflessioni ad alta voce, che diventano una cifra stilistica. L’amore arriva in punta di piedi e non con il fragore del colpo di fulmine?
R – Dipende, credo certamente nel colpo di fulmine, per qualsiasi cosa, anche per una passione, però l’amore è un’altra cosa, ha bisogno di tempo, di essere consumato quotidianamente, per espandersi. 

D - “Il grazie più grande lo devo a una donna. Mia madre”, confessa Mimì. Anche tua madre – come quella di Mimì – ti procurava la materia prima per le tue letture?
R – A lei devo il mio essere curioso, l’amore per i libri, per la cultura, per l’arte in generale. Il mio sguardo sul mondo è certamente quello che mi ha trasmesso lei. 

D - Il romanzo è pervaso dalla nostalgia diffusa per un’epoca, quella degli anni Ottanta con la colonna sonora di Vasco Rossi. Ritieni che questa nostalgia sia dovuta ai pregi di quel decennio, al fatto che gli anni Ottanta abbiano ospitato la tua adolescenza o al raffronto con i vuoti del decennio presente?
R – Di pregi gli anni ottanta, in realtà, ne avevano pochi, però io nel romanzo li guardo con gli occhi di Mimì, un ragazzino, che poi erano i miei occhi di allora, perciò quasi mi sembra siano stati anni romantici, spensierati, anche se so che non è del tutto così. Sono stati gli anni del disimpegno, l’inizio di una deriva culturale che non sembra avere fine in questo Paese. Se ci avessero detto allora che oggi saremmo addirittura arrivati a rimpiangerli, ci saremmo fatti una risata… 

D - “Se vuoi scrivere, devi anche imparare a farti leggere.”
“Non aver paura di cambiare… anzi, fallo spesso, nella scrittura e nella vita”.
“Il finale… potresti lasciarlo aperto a più possibilità. Mica devi per forza trovare una soluzione per far contento il lettore, non tutte le storie hanno un buon finale.”
Sono alcuni consigli che il Giancarlo Siani del romanzo dà a Mimì. Qual è l’incoraggiamento che un autore affermato come te darebbe a un ragazzo che volesse coltivare il sogno di diventare scrittore?
R – Sempre le solite cose, che possono apparire banali, ma sono vere: leggere sempre e tanto, scrivere innanzitutto per se stessi, essere caparbi, sicuri di sé ma mai presuntuosi, e imparare ad accettare le critiche, anche le più feroci, quelle gratuite (e quante ce ne sono). Questa è la cosa più ardua. 

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