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On writing di Stephen King (qlibri)

coverAutobiografia in chiave horrror

On writing” di Stephen King si può suddividere in due parti: la prima, quella iniziale, è un'autobiografia, che si ricongiunge all'appendice finale nella quale il 'basileus' dell'horror racconta in modo molto personale il terribile incidente stradale che lo afflisse nel 1999 e il duro periodo di riabilitazione che ne conseguì.
La seconda parte descrive l'arte dello scrivere, dispensando consigli a chi desidera incamminarsi lungo la strada della scrittura, ed è particolarmente interessante perché, nel consigliare, l'autore americano tratteggia - più o meno involontariamente - i canoni della sua poetica.
In questo commento mi occuperò della prima parte, quella autobiografica, per rilevare originalità e ironia con le quali “il re” affresca la propria vita, spesso contestualizzando la genesi di opere come “Carrie”, “Le notti di Salem” e “L'ombra dello scorpione”.

 

La propensione all'horror può essere facilmente individuata nelle modalità descrittive di episodi dell'infanzia: le angherie di una corpulenta baby sitter, l'incontro con due morti violente nei racconti di una madre fragile con la quale la vita non è mai stata generosa, le esperienze traumatiche del bimbo Stephen sulla poltrona dell'otorino, la tonsillectomia. O le conseguenze perniciose e dolorose di un espediente adottato per espletare le funzioni corporee nel bosco: “...strofinandomi sul sedere qualche bel mazzo di lucide foglie verdi. Che erano di rus velenosa.”
Anche le descrizioni delle persone tradiscono la propensione naturale verso un genere ben preciso: “La mia nuova maestra era la signora Taylor, una donna materna con i capelli grigi di Elsa Lanchester (quella di La moglie di Frankenstein) e occhi sporgenti.”
L'autobiografia indulge ovviamente alla descrizione del concepimento delle opere, a partire dagli albori: “Quattro racconti. Venticinque cent cadauno. Fu il primo dollaro che guadagnai in questo mestiere.” Quando a scuola lo studente non propriamente modello già praticava la sua arte, attirandosi gli strali degli insegnanti:
“Tu hai talento. Perché sprecarlo in questo modo?”
“Ho passato un bel po' di anni … a provare vergogna per ciò che scrivo.”
“... quasi tutti gli scrittori … sono stati accusati da qualcuno di aver buttato via quel dono di Dio che è il talento.”

Ho trovato particolarmente toccante il passaggio in cui King narra la sua lotta contro le dipendenze. Lo fa con sincerità, senza mistificazioni.
“Nel 1985 avevo aggiunto alla mia dipendenza dall'alcol quella alla droga...”
“Hemingway e Fitzgerald non bevevano perché erano creativi, diversi o moralmente deboli.  Bevevano perché è quello che fanno gli alcolisti. Probabilmente è vero che le persone creative sono più vulnerabili … e allora? Siamo tutti uguali quando vomitiamo ai bordi della strada.”

Quanto allo scrivere, anche nella sezione autobiografica si colgono lampi della poetica di King: “...ti piombano addosso di punto in bianco: due pensieri che prima erano del tutto indipendenti tutto a un tratto trovano un punto d'incontro e si concretizzano in qualcosa di assolutamente nuovo.”
Mentre l'opera è pervasa da un leitmotiv, quello motivazionale: “Scrivere è magia, è acqua della vita come qualsiasi altra attività creativa. L'acqua è gratuita. Dunque bevete. Bevete e dissetatevi.”
Come non essere d'accordo?

Bruno Elpis

http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-autobiografici-stanieri/discussions/review/id:36783/