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Le recensioni di Bruno Elpis

Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald (qlibri)

coverDi Caprio o non Di Caprio …

… il grande Gatsby rimane una leggenda della letteratura del novecento.

IL GRANDE GATSBY

Di Gatsby – come dell’essere in filosofia – si parla in molti modi (pollakòs léghetai).
Nick, vicino di casa e narratore, comincia con il dire che “Gatsby … rappresentava tutto ciò per cui io provavo un disprezzo totale.” Prosegue rilevando che lo stesso Gatsby possedeva “uno di quei rari sorrisi dotati di eterna rassicurazione, che s’incontrano quattro o cinque volte nella vita.” Finisce poi per riconoscere che in lui c’era "qualcosa di splendido, una sensibilità acuita alle promesse della vita".

Sulle ricchezze del personaggio si favoleggia: “Dicono che sia cugino o nipote del Kaiser Guglielmo. E’ da lì che vengono tutti i suoi soldi.” Al punto che si sospetta una provenienza illecita delle ricchezze: “Qualcuno mi ha detto che una volta ha ucciso un uomo.”
Il suo passato è misterioso: “… più che altro era una spia tedesca durante la guerra.” E il presente è quantomeno controverso (“E’ un contrabbandiere”) nell’epoca del proibizionismo americano: “Lui e questo Wolfsheim hanno comprato un bel po’ di piccoli empori qui a Chicago e hanno venduto alcol di grano sottobanco.”
Vero è che l’immensa villa di Jay Gatsby (“… Non capisco come tu faccia a viverci da solo”) è anfiteatro di feste fiabesche,  che sembrano l’antidoto (ma vedremo che così non è) alla solitudine: il giardino “lo tengo sempre pieno di gente interessante, notte e giorno. Gente che fa cose interessanti. Gente famosa.”

Di Caprio

MODA, JET SET E  “ALLEGRIA SPETTROSCOPICA”

Nel vortice delle feste che si tengono a casa di Jay si respira un’atmosfera modaiola: “Gatsby con un vestito di flanella bianca, camicia argento, e cravatta oro…”
Anche negli accessori: “Il viso di Daisy, piegato di lato sotto un cappello a tricorno color lavanda, mi guardò con un luminoso sorriso estatico.”
Nick percepisce subito la vacuità di un’architettura relazionale fondata sul ‘partecipare a ogni costo’: “Credo che la prima volta che sono stato a casa di Gatsby fossi l’unico ospite davvero invitato.”
In un contesto sempre musicato (“… il calore compresso esplose trasformandosi in suono e udimmo la Marcia nuziale di Mendelsson dalla sala da ballo sottostante”) e perennemente danzante (“Dalla sala da ballo sottostante, accordi sommessi e soffocanti salivano trasportati da ventate d’aria bollente”), gli ambienti sono scanditi dalla colonna sonora jazzistica (“… infine un attacco di jazz che fece cominciare le danze”) enfatizzata ad arte dai sassofoni.

il film

LO SFARFALLIO DI PAILLETTES E LUSTRINI CADE SU SOGNO E SOLITUDINE

I coriandoli delle feste precipitano su un suolo ove “centinaia di scarpette d’oro e d’argento strusciavano polvere lucente.”
Peccato però che gli strass cadano anche sulla solitudine strutturale del grande Gatsby, personaggio tragico e anacronisticamente romantico per aver fondato il suo sogno di vita … su un sogno d’amore, inessenziale rispetto alla società americana danzante degli anni venti, che - al ritmo del charleston - si appresta a imboccare il tunnel della grande crisi: “Parlò a lungo del passato, e compresi che voleva recuperare qualcosa, forse una qualche idea su se stesso, che era finita nell’amore per Daisy. La sua vita era stata disordinata e confusa da allora, ma se riusciva una sola volta a ritornare a un certo punto di partenza e ricominciare lentamente tutto daccapo, sarebbe riuscito a capire qual era la cosa che cercava …”
Nick ha modo di constatare che la realtà non è all’altezza del sogno: “Quasi cinque anni! Ci dovevano essere stati momenti, perfino in quel pomeriggio, in cui Daisy non era stata all’altezza dei suoi sogni – non per colpa sua, ma per la colossale verità della sua illusione.
E verifica che puntare su un sogno può essere anche molto rischioso: Gatsby “aveva perso il vecchio caldo mondo e pagato un prezzo troppo alto per avere vissuto troppo a lungo con un unico sogno.”
In questo quadro di riferimento, la morte non può che giungere in piscina, come sempre sotto una pioggia pulviscolare. Ma, questa volta, la pioggia ha gocce che sono foglie: “Un mucchietto di foglie, sfiorandolo, lo fece girare lentamente, tracciando, come la gamba di un compasso, un sottile cerchio rosso nell’acqua”.
Ed è nella morte che la solitudine esplode in tutta la sua potenza: “Nessun altro era interessato – interessato, intendo dire, con quell’intenso interesse personale a cui tutti hanno un vago diritto nel momento della fine.” Nonostante l’estrema promessa di Nick: “Ti troverò qualcuno, Gatsby. Non preoccuparti. Fidati di me, ti troverò qualcuno …”
Sogno e solitudine, solitudine e sogno, comunque declinati rimangono un tragico binomio: “Aveva fatto molta strada per arrivare a questo prato azzurro, e il suo sogno gli doveva essere sembrato così vicino da non potergli sfuggire. Non sapeva che l’aveva già alle spalle, da qualche parte nella vasta oscurità oltre la città, dove i campi bui della repubblica si stendevano nella notte.”

il film

LO STILE DI FRANCIS SCOTT FITZGERALD

Io lo trovo ineguagliabile nella carica poetica. Inimitabile nel confezionare scorci (“Nella benvenuta confusione di tazze e dolcetti si creò una qualche compostezza fisica”) e contrappunti (“L’eccitante mormorio della voce fu un bel tonico nella pioggia”).
Fitzgerald, anima dannata e destinata all’autodistruzione, sfodera aforismi come soltanto i grandi sanno fare: “Non c’è fuoco o gelo che possa sfidare ciò che un uomo può immagazzinare nella sua anima.”

Bruno Elpis

http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-straniera/discussions/review/id:34433/