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Le recensioni di Bruno Elpis

Il segno dell'untore di Franco Forte (Qlibri)

monattoCon Il segno dell’untore Franco Forte, già autore di romanzi di successo (Carthago, La compagnia della morte, Operazione Copernico), ha vinto il premio Fiuggi 2012 e ha creato il personaggio di Niccolò Taverna, notaio criminale: una specie di détective che riferisce al capitano di giustizia.
Il romanzo è la cronaca di una giornata di indagini: è il 12 agosto 1576 e a Milano, sotto la dominazione spagnola, divampa la peste bubbonica.
Quelle grida, quei pianti, quelle urla isteriche ormai campeggiavano nella sua mente da giorni …”
“I campanili delle chiese tacevano da diversi giorni … era stato lo stesso arcivescovo Borromeo a ordinare il silenzio, che non era di spregio alle vittime ma contribuiva a rendere meno fragoroso il pianto e l’urlo d’angoscia di tutta la città.
Il clima spettrale nel quale versa la città è reso con grande abilità.

Tra le cause di quest’atmosfera tenebrosa, l’inquisizione: “Era una guerra in atto … che prevedeva la nascita di quelle strutture del terrore nei punti nevralgici della città, per stringere le briglia del cavallo malato e sofferente in cui si era trasformata Milano.” 
E l’operato dei monatti: “E poi c’erano gli indumenti e gli effetti personali dei malati, che i monatti gettavano dalle finestre…”
Il notaio criminale si muove nel centro di Milano, all’ombra del Duomo in costruzione (“la cattedrale che presto si sarebbe innalzata su Milano come uno dei più maestosi templi della cristianità”) e destinato a entrare in un modo di dire dei milanesi: “È peggio della fabbrica del duomo!”, per indicare una situazione macchinosa e di lunga durata …
Niccolò deve far luce, con i suoi due assistenti, sull’omicidio di “padre Bernardino da Savona, famoso canonista e giureconsulto … commissario inquisitoriale …”, ritrovato assassinato in un edificio che reca i minacciosi segni dell’unzione. “Il prelato … non aveva lottato … non aveva fatto in tempo a scrivere nulla sul pavimento con il proprio sangue.”
All’indagine sull’omicidio si combina anche l’incarico di ritrovare un candelabro del Cellini, sparito misteriosamente dal Duomo di Milano, ove si conserva anche il Sacro Chiodo (“È stato l’imperatore Costantino a regalarlo a sant’Ambrogio”) reliquia preziosa soprattutto per il suo valore simbolico: “… È sempre stato un punto di riferimento per i fedeli, una ragione per sostenerci e per continuare ad appoggiare gli sforzi del Borromeo nella costruzione della cattedrale …
Nello stesso giorno, Niccolò perde l’amata moglie Anita, falciata dalla peste, risolve tutti gli enigmi e … si innamora di Isabella. Tra monatti (“Gente abituata a frugare tra i corpi e tra le cose infette, indifferente al rischio di morte …”; “I monatti erano creature strane, che godevano di una qualche immunità forse proprio in virtù del lavoro che facevano”), inquisizione (“Il patibolo era stato completato, con l’aggiunta di un palco laterale su cui erano stati montati alcuni strumenti di tortura”) ed eresie (gli Umiliati), il notaio criminale sbroglia le complesse maglie dei poteri cittadini, politici e religiosi.
La narrazione è molto ben congegnata dalla mente di un autore abituato a misurarsi – nelle vesti di sceneggiatore – con i casi dei RIS e di “Distretto di polizia”.
La tecnica linguistica è pregevolmente attagliata all’epoca dei fatti raccontati (“… su tutte le stoffe in lavorazione in quella casa era evidente l’eccesso di guarnizioni, con pistagne ritorte, cadeniglie, granducciati e altri orpelli alla moda …”) e la storia è sicuramente frutto di una ricerca seria e documentata, oltre che di visioni e intuizioni artistiche.
Il romanzo è particolarmente consigliato a chi ama il thriller storico e, in generale, i testi dall’impostazione solida e coerente.
A questo punto, la prossima avventura del notaio criminale, che sembra anticipata nell’epilogo del “Segno dell’untore”, è attesa anche da …

… Bruno Elpis

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