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Fatti e libri, rubrica di Bruno Elpis

L’insolito trio e “Il libro della giungla” di Kipling

Le immagini di un trio insolito, formato da un orso bruno, una tigre del Bengala e un leone africano, testimoniano un'amicizia che supera l’istinto. La storia risale al 2001, quando i tre cuccioli furono trovati malnutriti e feriti nel seminterrato di uno spacciatore ad Atlanta. La polizia li portò nell'oasi naturale dove oggi vivono: l'Arca di Noè, un santuario no-profit per gli animali in Georgia.
All’orso e alla tigre sono stati dati nomi evocativi: Baloo e Sher Khan (il leone si chiama Leo). Questa nomenclatura – al pari dell’amicizia che lega gli animali – ci riporta al capolavoro di Rudyard Kipling: “Il libro della giungla”. 

Le vicende di Mowgli il ranocchio, che viene allevato dai lupi e affidato alle amorevoli cure dell’orso Baloo e della pantera Bagheera, sono note ai più anche grazie all’interpretazione animata della Disney. In questo commento vorrei rilevare come l’espressione “vige la legge della giungla” abbia nella nostra lingua un’accezione corrente (l’espressione designa la legge del più forte) ben diversa da quella che Kipling delinea nella sua storia. 

Perché la legge della giungla di Kipling: 

è umanitaria (“non stabilisce nulla se non c’è la sua ragione, proibisce a tutti gli animali di divorare l’Uomo, a meno che essi non l’uccidano per insegnare ai loro figli, e allora devono cacciare fuori del territorio del branco o della tribù”); 

si fonda su regole civili (“La legge della giungla stabilisce che ove sorga qualche controversia sul diritto che ha un cucciolo d’essere accolto nel branco, almeno due membri di esso, che non siano i suoi genitori, devono prendere la parola in suo favore”); 

concede opportunità di riscatto (“La legge della giungla stabilisce che se sorge qualche dubbio a proposito d’un cucciolo nuovo… la vita di questo cucciolo può essere riscattata”); 

rispetta la vita (“Uccidere un cucciolo nudo è vergogna”; e ancora: “Bagheera gli disse che non doveva mai uccidere il bestiame bovino, perché egli era stato accettato nel Branco per l’offerta di un toro”); 

condanna la caccia (“Caccia per sfamarti, ma non per divertimento”); 

è ben lontana dall’anarchia (Le scimmie “sono fuori d’ogni Legge, non hanno una lingua loro, ma si servono di parole rubate…”); 

si fonda su principi educativi (“Il pentimento non risparmia il castigo”) ed estetici: “C’è anche questo di bello nella Legge della Giungla; che la punizione salda ogni conto e non lascia rancori”. 

Bruno Elpis 

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