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Le recensioni di Bruno Elpis

Fino a quando la mia stella brillerà di Liliana Segre (i-libri)

coverÈ una prima infanzia che ricorda con tanto amore e nostalgia quella descritta nella prima parte di Fino a quando la mia stella brillerà di Liliana Segre

Adorata dai nonni sia paterni sia materni, educata da papà Alberto con attenzione e protetta con affetto (“Mio papà era arrivato al punto che nei libri che mi leggeva la sera sostituiva la parola mamma in la parola nonna”), la piccola Liliana – rimasta orfana di mamma appena nata – vive idealizzando il papà, del quale è gelosa, in una famiglia borghese di Milano (“I fratelli ebrei Segre negli anni Trenta avevano una scuderia che si chiamava come la gioventù fascista: Balilla”). 

Poi, bruscamente, la vita cambia (Seconda parte: “Cambia tutto”). L’emanazione delle leggi razziali sottopongono la bambina a una dura prova: l’emarginazione (“Espulsa. Avevo appena compiuto otto anni…”), incomprensibile e assurda, in un clima generale ostile (“Quello che accadeva a noi ebrei avveniva nell’indifferenza generale”) nel quale, tuttavia, si possono distinguere alcuni giusti: la governante, la balia “asciutta” e pochi altri. 

La vita di Liliana prende una direzione senza ritorno: lo sfollamento a Inverigo, un tentativo fallito di fuga in Svizzera, la “deportazione dal Binario 21 della Stazione Centrale”. L’addio al papà è straziante. Padre e figlia vengono separati per sempre e destinati al lager di Auschwitz-Birkenau. Dal quale Liliana miracolosamente sopravvive: per un disperato istinto di conservazione, seguendo alcune regole (su tutte: rendersi invisibile e non arrendersi), con un pizzico di fortuna, superando ben tre selezioni mortali, affidando la sua speranza a una stella… 

Sulla sua pelle, insieme alle cifre della prigionia, rimarrà marchiata la visione di orrori inenarrabili, dei quali oggi Liliana Segre è strenua testimone (dalla prefazione di ferruccio Bortoli: “Ritornate persone, anziché pezzi e numeri incisi. Ritornati tra noi grazie alle virtù balsamiche della memoria. Già la memoria, il prezioso e a volte introvabile antibiotico della civiltà”). 

Bruno Elpis 

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