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Le interviste di Bruno Elpis

Intervista a Andrea Molesini, autore del romanzo vincitore del premio Campiello 2011

IBruno elpis intervsta il vincitore del Premio Campiello 2011n questa intervista procedo a ritroso rispetto alla produzione letteraria di Andrea Molesini. Perché naturalmente parto dall’evento che recentemente l’ha visto vincitore al “Premio Campiello”. Vorrà dire che mi prenoto, fin da subito, per un’altra intervista, nella quale avremo modo di toccare anche altri aspetti della creatività dell’autore veneziano.

Quali sono secondo te i motivi per i quali la tua opera “Non tutti i bastardi sono di Vienna” ha vinto il “Premio Campiello”? Per quanto mi riguarda, io ho rappresentato il mio entusiasmo per questo romanzo nella mia recensione pubblicata su questa stessa testata …

Si tratta di una tragedia narrata con il tono e nei modi della commedia. Una ricetta che, se ben equilibrata, funziona sempre. Tragico e comico si mescolano con discrezione, così come la dimensione pubblica (la guerra che tutto travolge e contamina) e quella privata (la vita nella villa invasa).

Immagino che, dietro a un romanzo così articolato e documentato, vi sia un’approfondita attività di ricerca. Che gestazione ha avuto la tua opera?

Lunga. Difficile. Ho dovuto leggere il leggibile, anche molto materiale inedito. Tra documentazione e revisioni ho impiegato degli anni. Ma ne è valsa la pena.

Qual è stata la fonte d’ispirazione del tuo romanzo?

Il primo spunto nasce con la lettura del Diario dell’invasione, uno scarno diario tenuto dalla sorella del mio nonno materno durante quel terribile 1917-18 che vide i tedeschi, gli austriaci, gli ungheresi e la fame spadroneggiare nel Veneto orientale. Decine di migliaia di persone morirono di fame in quell’anno terribile. Poi tutto è avvenuto da sé, un po’, anzi molto, per caso. Una folla di personaggi ha cominciato ad affollare e inquietare le mie notti e a premere dentro di me per essere narrata. Alla fine ho ceduto e ho scritto. Bisogna sempre provare a tacere prima di abbandonarsi a quel che preme per essere detto.

Cosa ne pensi, per quel che valgono le schematizzazioni, dell’inquadramento che io ho dato alla tua opera come “post-neo-realista”? Oramai viviamo in un’epoca nella quale i prefissi si moltiplicano …

Sono abbastanza d’accordo con te. Dico “abbastanza” perché detesto le definizioni, le schematizzazioni, come hai ben detto. Un libro è un fascio di emozioni, e l’emozione non va incasellata.

Ho trovato, nel tuo romanzo, le prime due parti più statiche e riflessive: quasi una fase di studio dei personaggi (da parte dell’autore e, se possibile, anche tra gli stessi protagonisti). La terza parte acquista una potenza narrativa e scenica fuori dal comune: come se si traessero, nelle azioni che si susseguono in modo incalzante, i risultati posti in premessa. Che ne pensi? Questo era nelle tue intenzioni?

No, non ci sono intenzioni a monte. Il romanzo segue l’andamento di quell’ultimo anno di guerra e l’azione precipita nell’ultimo terzo del libro perché, con l’avvicinarsi della fine del conflitto, lo spazio lasciato alla contemplazione non poteva essere molto.

Ho trovato drammaticamente coinvolgente la scena nella quale il giovane protagonista tocca “con mano” (è proprio il caso di dirlo!) la violenza della morte procurata dall’odio che la guerra semina …

Sì, sono d’accordo.

Qual è la critica più lusinghiera che hai ricevuto in questa occasione? E in altre?

I critici e gli scrittori spagnoli sono stati davvero generosi nell’accogliere la traduzione di César Palma (Entre enemigos, Lumen 2011) dei Bastardi. Fra tutti Juan Marsé (Premio Cervantes 2008) l’ha definito “Una novela hermosa, sensual y visionaria… Un regalo para los sentidos”, un regalo per i cinque sensi: un complimento bellissimo. Mi sono molto piaciute anche le interviste uscite di recente sulla Repubblica del 10 ottobre (Pierdomenico Baccalario) e sulla Stampa del 22 ottobre (Bruno Quaranta). Giovanni Pacchiano, sul Domenicale del Sole 24 Ore del 19 giugno, ha accostato lo studio dei caratteri nei Bastardi (soprattutto di quelli femminili) all'arte di Fenoglio, un gran bel complimento davvero.

<ndr: anch’io ho citato Fenoglio, nel mio commento, senza aver letto quello di Pacchiano!>

Dopo essere stato insignito del premio è cambiato qualcosa nella tua vita?

Sì. Fino a Natale ho un sacco di incontri. Mi piace incontrare i lettori di tanto in tanto, ma non voglio lasciarmi distrarre dallo scrivere. Comunque il quarto d’ora di notorietà passa in fretta, per fortuna.

Che aria si respira quando si partecipa a un concorso letterario così prestigioso?

La competizione è corroborante, ma alla lunga snerva. Io comunque me la cavo perché ho il senso del ridicolo e non mi prendo mai troppo sul serio.

Questo riconoscimento inciderà sul tuo futuro di scrittore? Intendo dire, continuerai a scrivere per la gioventù o pensi di dirottare i tuoi componimenti sul pubblico degli adulti? Hai già qualche programma di lavoro per le tue prossime fatiche letterarie?

Non credo che cambierà niente. Ho smesso undici anni fa di scrivere storie per ragazzi e da allora non ho mai pensato di riprendere. Anche con la traduzione ho chiuso dal 2008. Scriverò solo e sempre quello che non posso non scrivere, quello che si imporrà alla mia anima un poco squinternata. Sto lavorando a una storia ambientata nell’inverno del 1944: una storia piena d’avventura, e di tragica gioia.

Come si rapporta il tuo lavoro di docente all’attività di scrittore? C’é interazione tra i due ambiti?

No. Non c’è nessun rapporto. Faccio le mie lezioni e me ne vado. Scrivere è un’esperienza unica, straordinaria. Insegno per vivere, vivo per scrivere.

Cosa ne pensi dell’editoria in generale e degli scrittori in particolare? Hai un gruppo di riferimento o di amicizie in questo ambiente?

Ho amici scrittori in America, Inghilterra e Israele. Ma non conosco i miei colleghi italiani. In generale mi piacciono gli scrittori Sellerio. Un editore straordinario, a un tempo aristocratico ed umile, come dovrebbero essere, e spesso non sono, autori ed editori. Non mi piace la produzione in serie, mi piace il fatto a mano. Mi piace il profumo della scia lasciata da Elvira Sellerio, donna di grazia e di coraggio, capace di fiutare un autore dalle prime pagine, un talento sempre più raro nei grossi carrozzoni che si ostinano a farsi chiamare editori.

Che rapporto hai con la tua città? Trovo eccezionali le descrizioni che ne fornisci, ad esempio, in Polvere innamorata, dove dipingi squarci suggestivi e poetici di Venezia, attraverso gli occhi del bambino protagonista.

Amore e odio, e non potrebbe essere altrimenti. Il turismo è una lebbra culturale, che desertifica ogni sapere, soprattutto quello degli artigiani, che erano il nerbo della mia città, e ora sono spariti. Per fortuna Venezia è anche una città bambina, che sa stare al gioco, e forse riuscirà a riscattarsi, a dispetto dell’insipienza dei suoi abitanti.

Nella quarta di copertina di questo stesso libro ho letto che la tua casa “somiglia a una barca che naviga sui tetti della città” …

Una mansarda con una bella altana, con vista su tutti i tetti, fino alle cupole di San Marco e della Salute, e ai campanili dei Frari e della Madonna dell’Orto. Dall’interno sembra una barca perché la fece il fratello della mia bisnonna materna, Guglielmo Rainer, l’ammiraglio italiano che a Fiume sparò su D’Annunzio.

Per quale ragione hai “scelto” di occuparti di letteratura per ragazzi o, addirittura, per bambini? Nelle tue opere credo sia palpabile lo spirito del “fanciullino”.

Finché il bambino che era in me bussava per essere raccontato, ho scritto per ragazzi. Poi ha taciuto e mi sono dato al romanzo tout court, così è nato Non tutti i bastardi sono di Vienna. Non sono pentito nemmeno un po’. E i premi Campiello e Comisso, e altri minori, confermano che la svolta è stata proficua.

Tarme d’estate è una raccolta di poesie per i più giovani. Quali sono gli elementi che deve avere una poesia per bambini?

Difficile rispondere. Direi una grazia, una leggerezza speciale. L’orecchio è un dono di Dio, e uno non se lo può dare.

Voglio qui fare soltanto un cenno a una tua opera che ho molto apprezzato e che merita ben altri approfondimenti. Sto parlando di Nero latte dell’alba, che – come spiega il sottotitolo – tratta dell’Olocausto. Direi che è un lavoro fondamentale per i nostri insegnanti di lettere e di storia della scuola dell’obbligo. Sia per la premessa, sia per le schede di ben ventinove opere che hanno come tema la Shoà. Un contributo determinante, per tener accesa la memoria anche presso le nuove generazioni.

Un libro che andrebbe aggiornato. Comunque è fuori catalogo.

Hai, tra quelle che hai scritto, un’opera che preferisci alle altre? In caso affermativo, cosa te la fa preferire alle altre?

Anche se ogni scarrafone è bello per mamma sua, “Non tutti i bastardi sono di Vienna” è la mia preferita. Non so dire perché. Non c’è un perché. È così e basta. Forse perché è l’ultima, e l’anima di un autore fatica sempre a staccarsi dall’ultimo nato.

Che ricordo hai dei tuoi esordi letterari? Che consiglio ti senti di dare a un autore esordiente?

La cosa bella dello scrivere è lo scrivere. Non c’è altro. Esordio o non esordio… che importanza ha? Io quando scrivo sono pervaso da una sorta di felicità, che è anche tormento e insoddisfazione, ma è soprattutto felicità. Da cosa è generata, non lo so. In quanto ai consigli, rispondo con una frase di Hemingway: “La cosa più importante per scrivere è il senso dell’onore”.

Ci possiamo lasciare con quello che è diventato un topos delle mie interviste, “la domanda a piacere”, quella che gli studenti tanto desiderano sentirsi rivolgere nel corso di un’interrogazione …

La più difficile. Un modo per mettere in imbarazzo l’interlocutore… ricorro a un trucco. Una volta un uomo molto vecchio mi chiese se preferivo essere considerato intelligente o buono. Io ero molto giovane, avevo ventitré anni, e così risposi da sciocco, come avrebbe fatto, credo, ogni altro giovane intellettuale: dissi che avrei preferito essere considerato intelligente. Lo sapevo, mi disse, ma non sei sincero, aggiunse subito, perché tu non sei un intellettuale, sei un ragazzo un po’ confuso, e se cerchi dentro di te lo sai che è molto meglio essere buoni che intelligenti, perché la bontà è la lingua di Dio, e senza bontà i libri che scriverai saranno freddi come carciofi sorpresi dalla neve, e nessuno se li filerà. Non gli avevo detto che volevo fare lo scrittore. Evidentemente la sapeva molto più lunga di me.

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Andrea, grazie all’aneddoto che hai raccontato nell’ultima risposta, insegni come trasformare un imbarazzo in opportunità! In quest’intensa intervista, inoltre, ci hai regalato altri spunti “storici”: il diario di una prozia, un ascendente ammiraglio, antagonista di D’Annunzio … Ti saluto a nome di tutti i lettori di www.i-libri.com e, con il desiderio di rivolgerti altre domande, ti ringrazio per la disponibilità che hai dimostrato in questa intervista e nei contatti che l’hanno accompagnata.

Bruno Elpis